di Alberto Bignami (foto di: Giusy Marinelli)
«Andri, ti avverto, non mi prenderò molto. Cercherò di leggere tutto d’un fiato prima che le lacrime prendano il sopravvento. Quindi, ti chiedo di prestare attenzione e di non fare come a tuo solito ovvero che dopo un po’ che parlo mi guardi e mi dici: “Io non ho capito niente di quello che mi hai detto. Ricomincia da capo, mi sono fermato alla terza parola però sono sicuro che in quello che hai detto, hai ragione tu”». Emma, la fidanzata di Andrea Tisba, il 25enne morto nell’alluvione insieme al papà Giuseppe, con voce rotta dalla commozione inizia così il suo discorso, rivolgendosi a lui come se gli fosse di fronte e ripercorrendo quei lunghi momenti vissuti insieme come quando una sera voleva un dolcetto e in casa non vi era nulla. Lo portò poi ‘Peppe’ «e tu invece di lasciarmelo lo mangiasti. E mentre lo facevi mi dicevi, ne vuoi un po’? E al mio no, te lo sei finito. Hai avuto anche il coraggio di guardarmi e dirmi: se lo volevi davvero, te l’avrei lasciato. E poi – ha raccontato ancora – quella volta che per il tuo compleanno siamo andati a cena fuori nel ristorante sbagliato, per poi accorgerci e alzarci dal tavolo come se nulla fosse, e andare in quello giusto. Penso che solo io e te potevamo essere in grado di fare una cosa del genere. Mi fermo però a raccontare le nostre avventure, altrimenti non finirei più.
Peppe – ha proseguito – era il nostro gigante buono, mi incantavo a vedere come scherzavate. Quando parlavi di lui, ti si illuminavano gli occhi e quando discutevamo, cercavi un appoggio in lui, che dava ragione a me. Sei la forza che mi trasmetti ogni giorno da più di due anni, soprattutto in questi momenti in cui il colore di questi giorni si è perso. Dal giorno in cui ti ho conosciuto ho capito che c’era qualcosa di bello e di strano in te. Per te vale la pena fare ogni cosa, uscire con i tuoi amici e sentire solo discorsi sul calcio e fantacalcio pur di vederci e stare un po’ insieme. Vale la pena anche litigare con te, anche se è stato impossibile litigare… che mi guardavi e mi dicevi “Ma perché ti arrabbi se tra 5 minuti ti passa”, poi mi guardavi e ti mettevi a ridere, e mi facevi ridere. Con quelle facce buffe che solo tu sai fare. Non immagini quanto è grande il vuoto che si è venuto a creare. Ti sento sempre, la mattina quando mi alzo e vado a fare colazione con lo yogurt che tu tanto denigravi perché secondo te era immangiabile. Ti sento quando vado a camminare, nell’aria che respiro e nella terra che calpesto. Ti sento quando esco con il mio gruppo, che piano piano stava diventando anche il tuo. Ora mi manca stringerti, abbracciarti, prendere il tuo viso tra le mie mani. Tra poco – ha ricordato – arriverà il cambio di stagione dell’armadio. E ora, chi mi aiuterà a piegare, come la chiamavi tu, la ‘montagna di maglioni’ nell’armadio. Tutti, in questi giorni mi hanno detto che prima o poi mi abituerò alla tua assenza, ma in realtà non so se voglio veramente abituarmi a questo, ed è impossibile pensarlo perché la mia vita ruota attorno a te. Non te l’ho mai detto ma voglio ringraziarti, perché se so cosa significa amare qualcuno, lo devo a te. Voglio poi dirti che puoi stare tranquillo che qui tutti respireremo e vivremo per te e che se fino ad ora sei tu ad avermi aspettato quando finivo di prepararmi, adesso i ruoli si invertono: ti prometto – ha concluso in lacrime – che se fino ad oggi sei stato tu ad attendermi, ora sarò io ad aspettare te. . E io ti aspetterò per sempre».
Un ricordo indelebile di Andrea lo hanno voluto fare anche i compagni di squadra dell’Ostra Calcio rivolgendo prima lo sguardo verso il feretro di Giuseppe. «La vita è fatta di momenti – ha detto un compagno, a nome di tutto il team -. Ci sono momenti per ridere, per piangere, per ricordare, come quello di adesso; per stare con gli amici e per giocare. Noi ci siamo conosciuti proprio in quest’ultimo: nel momento del gioco del calcio. Tu sapevi tutto, ogni cosa. E tu, Andrea, sì che sapevi giocare. Ma non solo nel senso più stretto del termine ma in tutto quello che racchiude la parola ‘gioco’. Ti sapevi arrabbiare, sapevi sorridere, sapevi sopportare e, insomma, sapevi farti voler bene da tutti noi compagni di squadra. Ed è proprio così, che dall’essere arrivato alle nostre vite nei soli momenti di gioco, sei anche entrato in quelli dell’amicizia. Vogliamo ricordarti con il tuo sorriso, che oggi per la prima volta ci farà star male ma che di solito alleggeriva ogni cosa. Ora – ha aggiunto – non vogliamo fare un ‘polpettone’ di discorso perché sappiamo perfettamente che i polpettoni preferivi mangiarli, tanto da farti parlare come se ne stessi mangiando sempre uno. Per noi eri un sorriso, tanta semplicità e due grandi piedi che ti facevano correre con noi. Ci chiedevamo questi giorni: chi sarà sempre pronto a prestarci i calzettoni e le magliette che puntualmente ci dimentichiamo. Chi, a fine allenamento, si fermerà davanti allo specchio ed esclamerà “Mamma mia quanto sono grosso”. Chi ci farà sorridere solamente con uno sguardo. Noi la risposta la sappiamo. Sarai sempre tu, sarai per sempre nei nostri cuori. Andri, un’ultima cosa – ha concluso facendo riferimento al fatto che Andrea avesse sempre fame -: quante volte cenerai stasera. I tuoi compagni di squadra».
Un altro amico ha ricordato «La splendida persona che sei. Andri non si può spiegare, lo conoscono tutti. Il suo sorriso, la sua capacità innata di fare amicizia con tutti».
Le bare, intorno alle 17, sono state poi accompagnate sulle note di Hallelujah di Jeff Buckley, portate in spalla dagli uomini della Protezione Civile, tra le lacrime e gli abbracci delle centinaia persone presenti.
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