facebook rss

Rabbia per la sentenza di Rigopiano:
«Ogni assoluzione una pugnalata,
mia madre si stava sentendo male»

LA TRAGEDIA SULLA NEVE - Il fratello di Dino Di Michelangelo, il poliziotto di 41 anni in servizio a Osimo che mori con la moglie Marina Serraiocco sotto la valanga a Farindola: «E’ la seconda brutta notizia arrivata in 6 anni. Ho dovuto sorreggere mia mamma. Non ci sono nè vincitori, nè vinti ma solo 29 vittime innocenti. Presenteremo appello»

Lo striscione con le foto delle 29 vittime dell’hotel Rigopiano sistemato dai familiari fuori dal tribunale di Pescara nella foto postata sui social dal comune di Chieti che attraverso la presenza del sindaco e del vice sindaco oggi ha portato la solidarietà dell’intera comunità cittadina ai familiari di Dino Di Michelangelo e Marina Serraiocco

 

Ventinove vittime, 11 sopravvissuti, 30 imputati ammessi al rito abbreviato: il pm aveva chiesto oltre 150 anni di carcere e 26 condanne, sono state 5 quelle decise del gup di Pescara con 25 assoluzioni per la tragedia di Rigopiano. E’ stato segnato da emozioni forti, rabbia e lacrime, il giorno della sentenza di primo grado.

«E’ la seconda brutta notizia arrivata in 6 anni. Ho dovuto sorreggere mia madre che in aula si stava sentendo male. La lettura di ogni assoluzione, la citazione di ogni articolo 530 del codice di procedura penale, per lei sono state come pugnalate al cuore». Alessandro Di Michelangelo quasi non ci crede. Trattiene a stento la commozione al telefono, il fratello di Domenico Di Michelangelo, il poliziotto di 41 anni che con la moglie Marina Serraiocco, 37, perse la vita in quel maledetto 18 gennaio 2017. I due coniugi di origine teatina, lei titolare di un negozio di bomboniere e oggettistica e lui poliziotto in servizio presso il Commissariato di Osimo, furono travolti dalla valanga di Farindola, sul Gran Sasso, durante una vacanza sulla neve con il loro unico bambino Samuel, al tempo di 7 anni, tra i pochi sopravvissuti. Oggi è un adolescente che vive a Chieti, protetto dall’amore della famiglia dello zio materno Giuseppe Serraiocco, dalla compagna Martina e dalla loro bambina Marianna, la sua sorellina.

Alessandro Di Michelangelo (primo da destra) alla commemorazione del sesto anniversario della tragedia di Rigopiano, davanti  al cippo di Chieti in memoria di Dino e Marina

«Speravo di poter finalmente trovare la nostra pace. Oggi in tribunale invece ho sentito sconforto ma ho cercato di calmare i miei familiari portandoli fuori dall’aula dove era palpabile la rabbia, spiegando loro che la nostra battaglia non è finita qui – racconta il fratello di Dino, chietino, poliziotto come lui ma in Abruzzo – Speravo che la giustizia facesse il suo corso, che ci fosse qualcuno che si fosse assunto una responsabilità così grande da poter finalmente applicare la Costituzione anche per spiegare alle nuove generazioni che nel nostro Paese tutto può essere amministrato con senso del dovere e responsabilità. Indipendentemente da oltre ogni ragionevole dubbio sorto tra carte, regolamenti, giurisprudenza e cavilli emersi in questo processo complesso, viste anche le pene richieste dalla Procura contavo davvero che fosse dato un segnale alle future generazioni. Tanti giovani hanno seguito le udienze. Oggi che idea possono essersi fatti nel vedere la disperazioni di madri e padri anziani che forse non avranno la forza di andare avanti fino alla fine, al terzo grado di giudizio?»

La mamma di Dino Di Michelangelo in tribunale a Pescara (seconda da sinistra) nel corso di una delle tante udienze

Se lo domanda Alessandro cercando di dare un senso a questo sviluppo. «Questo però è il nostro ordinamento giudiziario. Ho cercato di spiegare a mia madre che sarebbe potuto accadere e che era plausibile anche se tutti la consideravamo un’ipotesi remota – lo afferma cercando di fare coraggio soprattutto a se stesso per andare avanti – Le sto ripetendo che non deve disperarsi perché il percorso della giustizia non è ancora finito. Ho visto i suoi occhi lucidi, come quelli dei procuratori, degli inquirenti che avevano partecipato alle indagini. Ho visto gli occhi lucidi dei colleghi che facevano servizio di ordine pubblico in aula. Perchè anche loro sono padri, madri e figli. È evidente che in quei giorni e soprattutto nei giorni successivi all’evento qualcosa non ha funzionato per il verso giusto, noi familiari ci aspettiamo che sia accertato quanto accaduto. Ho già parlato con i nostri avvocati, con i procuratori. Nè vincitori e nè vinti oggi ma solo 29 vittime innocenti. Aspetto le motivazioni  della sentenza e poi si ricomincia: presenteremo appello e ricaricheremo le pile. Lo devo anche a mio padre che non c’è più, che se n’è andato per il dolore».

(Redazione CA)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page




X