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Il labirinto del film “Il nome della rosa”
diventa un plastico per non vedenti
«Emozionante incontrare Dante Ferretti»

L'ARTISTA recanatese Michela Nibaldi è stata incaricata di realizzare la riproduzione che il premio Oscar ha donato al museo tattile statale Omero di Ancona. «Mi ha fatto i complimenti»

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Dante Ferretti e l’artista recanatese Michela Nibaldi

di Francesca Marchetti

Il percorso miltisensoriale del Museo tattile statale Omero di Ancona si è arricchito con una donazione da parte dello scenografo maceratese tre volte premio Oscar, Dante Ferretti. Una riproduzione fedele del plastico del castello realizzato dal maestro per il film “Il nome della rosa” è stata creata dall’artista recanatese Michela Nibaldi e poi presentata durante l’inaugurazione ad Ancona del primo festival europeo dedicato alla scenografia di cui è direttore artistico, “Scenaria”.

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Michela Nibaldi e il plastico realizzato per il Museo tattile statale Omero di Ancona

«Grazie a “Scenaria” ho potuto conoscere personalmente Dante Ferretti» ha affermato Michela Nibaldi, in arte Niba, scultrice. Nell’intervista racconta il suo lavoro nella realizzazione della copia del plastico originale usato da Ferretti per elaborare il labirinto del film “Il nome della Rosa”, diretto da Jean-Jacques Annaud nel 1986 entrato a far parte della storia della cinematografia.

Come è stata scelta per lavorare per Dante Ferretti e il Museo tattile statale Omero?
«Sono stata contattata da Mauro Mazziero, presidente dell’Associazione Centro Culturale Asp che mi ha parlato dell’evento dedicato al famoso scenografo all’interno del festival e, in occasione del suo ottantesimo compleanno, l’intenzione del maestro di donare al museo una copia del plastico originale del labirinto del film ‘Il nome della rosa’ tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco.
Sono stata veramente entusiasta, visto che il cinema è stato uno dei punti di partenza della mia ricerca artistica».

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Michela Nibaldi al lavoro sul plastico

Come ha proceduto alla realizzazione del plastico?
«Ho iniziato a lavorare al progetto partendo da alcune foto del bozzetto originale realizzato in cartone e due misure, il lato e l’ altezza di una torre. La difficoltà maggiore è stata quella di riuscire ad estrapolare dalle sole immagini la disposizione degli elementi architettonici dell’interno del labirinto, a che altezza fossero le porte, a che grado d’inclinazione le scale.
Il plastico è costituito da sei torri uguali a pianta esagonale, quella centrale completa e quelle attorno suddivise a metà per permettere la visione dell’interno, composto a sua volta da un intricato gioco di ballatoi e rampe di scale con più di 400 scalini complessivi. Ricorda molto la famosa “scala” di Escher.
La scelta del legno è stata presa per la sua ottima lavorabilità, dal momento che è stato interamente realizzato a mano, per la qualità estetica e, considerato il luogo di permanenza del plastico, la sua qualità meccanica».

Come è stato l’incontro con Dante Ferretti durante la presentazione del festival ad Ancona?
«Era già una grande emozione, durante la lavorazione, sapere che stavo replicando un manufatto del grande scenografo per uno dei capolavori della cinematografia. Ancor più emozionante, il giorno della presentazione, è stato trovarsi accanto al maestro e ricevere i suoi complimenti per il lavoro svolto. Apprezzamenti molto graditi sono stati ricevuti anche dai fondatori del Museo Omero, Aldo Grassini e sua moglie Daniela Bottegoni, per me è un grande onore essere entrata a far parte della loro collezione, dove il mio nome, a ridosso di quello del maestro Ferretti, compare tra De Chirico, Manzù, Martini, Mattiacci, Vangi, Valentini, Pomodoro, Trubbiani».

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Un’opera della serie Rubber Rabbit

Qual è il suo percorso artistico?
Dopo aver frequentato l’Istituto d’arte Cantalamessa di Macerata e lavorato in diverse aziende orafo/argentiere con lo pseudonimo di Niba circa 25 anni fa ho iniziato a realizzare sculture, prototipi e progetti istallativi, elaborando un immaginario che va dal mondo mediatico a quello fiabesco. Nei miei lavori, che si sviluppano perlopiù in serie di opere, si fondono sperimentazione e immaginazione, elemento naturale e artificiale, fantastico e tecnico, sacro e profano, e inoltre, bizzarrie da Wunderkammer, come metafore del mondo reale ritratto però nella sua forma estrema, un mondo onirico sotterraneo fatto di paradossi, assurdità, nonsense»

Quali sono i tratti distintivi delle sue opere?
Nel mio lavoro emerge molto “l’estetica fetish” come immagine sensuale ed erotizzante, piuttosto che carnale e pornografica e mi affascina il concetto simbolico/religioso del termine feticcio. Da tempo il fetish è protagonista di cinema, pubblicità, moda, fotografia, arte ed è stato usato da molti artisti per esprimere il loro linguaggio. Da Hans Belmer e Andy Warhol a Man Ray e Fassbinder, ma anche a stilisti come Vivienne Weestwood e Jean Paul Gautier. Il fetish è stato utilizzato anche attraverso la musica punk-dark-goth con un immaginario che mi ha colpito e intrigato fin dall’età adolescenziale. L’ibridazione, il divenire uomo dell’animale, come anche il percorso inverso, è un altro dei temi cardine del mio lavoro.

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Opera della serie Plastic Pleasure (Greta)

Che materiali utilizza per le sue opere?
Utilizzo disparati materiali tra cui resina, poliuretano, polistirolo, legno, cera, stoffa, ma principalmente terracotta, materiale “nobile” e antico, che plasmo fin quasi a renderlo irriconoscibile, occultandone porosità e respiro come a renderlo sintetico e contemporaneo. Realizzo le mie opere interamente a mano, modellando l’argilla per dare forma e sembianza alle mie idee, dipingendola poi con una combinazione di smalti, acrilici, olii. Sono quasi maniacale nella ricerca e nell’accuratezza di dettagli e particolari, infatti impiego sempre molto tempo, a volte dei mesi, per completare una scultura.

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Scultura d’oro di Giacomo Leopardi di Michela Nibaldi

Data la sua predisposizione all’arte contemporanea, ha mai pensato di lasciare il borgo natìo?
«Ho sempre vissuto e lavorato a Recanati, per diversi anni ho frequentato Bologna, città che mi ha permesso di promuovere il mio lavoro e di avanzare nel mondo dell’arte. Lì ho fatto la mia prima mostra personale, poi nel corso degli anni le mie opere sono state esposte in molte altre gallerie, italiane ed europee, ed in musei.
L’evento espositivo più importante al quale ho partecipato è stato “Decadence now! Visions of
excess ” a cura di Otto Urban, alla Galleria Rudolfinum e al Museo delle Arti Decorative di Praga nel 2010, dove cinque mie sculture si sono trovate accanto alle opere dei massimi esponenti dell’arte mondiale dell’ultimo ventennio, come Jeff Koons, Damien Hirst, Cindy Sherman, Joel Peter Witkin».

La domanda che tutti si pongono: si può vivere di arte in Italia?
«Penso che da fin troppo tempo, e parlo di secoli, l’Italia non renda la vita facile agli “artisti”.
Vige purtroppo l’idea che di sola arte non sia possibile vivere e ciò sicuramente ha frenato la mia risolutezza nell’abbandonare un lavoro primario. Mi sarebbe piaciuto, altrimenti, sperimentare Parigi e Berlino, senz’altro più accoglienti e non penalizzanti per l’arte, ma non si sa mai, magari un giorno.
Attualmente mi sto adoperando per una nuova esposizione e in contemporanea lavoro a “La Balena di Pinocchio”, atelier che ho avviato insieme a mia sorella Cristiana da circa quattro anni nelle immediate vicinanze di Casa Leopardi. Proponiamo ceramiche artistiche, souvenir, oggettistica da regalo e molte altre particolarità esclusive, il tutto rigorosamente fatto a mano».

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Michela Nibaldi a Scenaria

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Il plastico della torre del castello de “Il nome della rosa” realizzato da Michela Nibaldi per il museo tattile Omero

 

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Follow the White Rabbit – Panchina d’Autore di Nibaldi ai giardini pubblici di Recanati

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Dalla serie FeLish di Michela Nibaldi

 

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Trittico “Metabolismo” by Michela Nibaldi

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