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Fine vita, la testimonianza di Englaro:
«Per Eluana la morte non era un tabù,
più di 5mila giorni per un suo diritto»

ANCONA - E' stato il protagonista del convegno organizzato dall'associazione Avvocati matrimonialisti che si è tenuto ieri nella sala consiliare del Comune. Ha ripercorso l'iter giudiziario che lo ha visto in prima linea fino alla legge sull'autodeterminazione che ha segnato una svolta. Al tavolo anche i giudici e i medici coinvolti nel caso Mario

Il convegno sul fine vita nella sala consiliare del Comune di Ancona

di Alessandra Pierini

«Conosce le Dat, le disposizioni anticipate di trattamento? Le ha fatte? L’autodeterminazione è fondamentale se no poi non si lamenti». E’ duro Beppino Englaro e va subito al punto ma, anche se ripercorre la storia della figlia Eluana, un pezzo della storia di Italia, ripercorrendo sentenze, provvedimenti non fatti e porte chiuse che ha trovato in 17 anni di malattia della figlia Eluana, le emozioni e il dolore trascurati per esprimere la rabbia, emergono ancora con forza dal suo sguardo, dalle parole e dalle mani che non smettono di tremare.

Beppino Englaro durante il suo intervento

Beppino Englaro è stato il protagonista del convegno multidisciplinare promosso dall’associazione Avvocati matrimonialisti italiani e patrocinato dall’Ordine degli avvocati, dall’Ordine dei giornalisti e dal Comune di Ancona che ieri pomeriggio nella sala consiliare ha affrontato il tema del fine vita ripercorrendo appunto il caso di Eluana ma anche il caso Mario. In particolare per la prima volta allo stesso tavolo si sono ritrovati i giudici e i medici coinvolti nella vicenda di Federico Carboni,44enne marchigiano tetraplegico da 12 anni, dopo un incidente stradale, morto il 17 giugno 2022. E’ stato il primo caso di suicidio assistito in Italia.

Al centro Silvia Corinaldesi, presidente della prima sezione civile del Tribunale di Ancona e Valentina Rascioni, consigliera della corte d’Appello

Dopo l’intervento introduttivo dell’avvocato Paolo Maria Storani che ha ricordato la storia di Piergiorgio e Mina Welby e di Pietro D’amico, sottolineando come il convegno aveva come oggetto «temi sovrumani» è stata la volta di Beppino Englaro che ha ricordato l’incidente di Eluana, quando aveva 21 anni: «Il suo tabù non era la morte, la chiamavamo “purosangue della libertà”. Aveva visto poco prima del suo incidente un suo amico, Alessandro, in Rianimazione ed era andata in chiesa ad accendere un cero, ma perché morisse. Noi genitori abbiamo dovuto darle voce ma per 4 anni siamo stati cani randagi che abbaiavano alla luna, non avevamo interlocutori e la stampa non voleva saperne di noi. Quello che chiedevamo è che nostra figlia potesse riprendere il naturale processo del morire. La Costituzione stessa prevede che un cittadino possa scegliere. Lo abbiamo fatto alla luce del sole e nella cornice di legalità esistente». Ha ricordato tutto l’iter politico e giudiziario vissuto: «più di 5mila giorni della nostra vita per vedere scritto nero su bianco quello che dicevamo da 15 anni». Poi la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento. Conosciute anche come testamento biologico o biotestamento, le Dat sono un documento con il quale una persona può esprimere, ora per il futuro, il proprio consenso a molte scelte che riguardano la sua salute. Una persona in salute, quindi, può decidere di scrivere le Dat in previsione della possibilità di non essere più in grado di decidere in modo autonomo per la propria salute. «L’autodeterminazione è fondamentale – ha detto Englaro – questa legge è stato un passo fondamentale».

Beppino Englaro

Poi il caso Mario. A parlare di autodeterminazione, suicidio assistito ed eutanasia è stata poi Silvia Corinaldesi, presidente della Prima Sezione Civile del Tribunale di Ancona. «Il giudice – ha detto – non è indifferente alla sofferenza umana per questo si pone molte domande. Non si può andare di fretta quando sono in gioco valori alti e il rischio di sbagliare è massimo».

Ha sottolineato l’aspetto umano nell’affrontare il caso Mario anche Valentina Roscioni, consigliera della Corte d’Appello di Ancona che ha scritto la prima ordinanza: «Ci ha mostrato le foto della sua vita prima e dopo l’incidente e in un video messaggio ci ha rivelato anche aspetti molto personali».
Alessandro Di Tano, giudice del Tribunale di Ancona, sezione famiglia, è stato invece l’estensore del secondo provvedimento del caso Mario: «Ci siamo dovuti muovere in un vuoto normativo, quello che colpisce è il silenzio del legislatore e delle Camere».

Il dottor Fabio Gianni, primario di medicina legale nell’ast di Ancona, ha ripercorso l’attività dell’équipe multidisciplinare chiamata ad affrontare la questione della quantità di farmaco necessario per procurare la morte di Mario: «La difficolta è nel fatto che non esiste letteratura sulla metodologia clinica, è qualcosa da dedurre. tanto più che Mario, il quale riusciva a muovere solo un dito, doveva autosomministrarla». Poi il dottor Tonino Bernacconi, primario del reparto di Rianimazione al Carlo Urbani di Jesi che ha presentato il protocollo di fine vita: «Siamo tra i pochi in Italia ad esserne dotati, accompagniamo il paziente ma anche i suoi familiari» ha spiegato, commuovendosi nel leggere le testimonianze e gli attestati di stima che hanno lasciato.
Ha concluso il presidente Ami  Massimo Micciché: «E’ evidente che , a causa di un vuoto normativo, nel caso Mario ognuno ha dovuto forzarsi ad essere diverso da quello che è, assumere un ruolo che non gli spettava e tutto questo a causa della mancanza di una legge e della carenza del legislatore».

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