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Le confessioni choc dell’ex boss pugliese
da anni trapiantato a Civitanova
«Distruggevamo i cadaveri nelle fornaci»

L'INTERVISTA del programma Le Iene a Salvatore Annacondia, pentito di mafia, al centro negli anni scorsi di un'inchiesta dell'avvocato Giuseppe Bommarito su Cronache Maceratesi. Conosciuto col soprannome di "Manomozza", ha alle spalle decine e decine di omicidi. Da tempo risiede nel Maceratese, dove ha aperto diversi ristoranti. «Non mi piaceva lasciare le persone vive, i morti non parlano. La tecnica che usavamo era micidiale: si faceva un letto di copertoni, si metteva il corpo sopra, si ricopriva di gomme e poi si dava fuoco a tutto. Tempo un'ora e non restava manco la cenere». «Forze dell'ordine corrotte? Certo, c'era una busta per ogni grado. Io sono stato sempre coperto dal settore politico e imprenditoriale»

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«Il 30 gennaio dovevo morire». Ha esordito con queste parole che lasciano un alone di mistero Salvatore Annacondia, 67 anni, meglio conosciuto come “manomozza”, ex boss di spicco della Sacra corona unita, organizzazione mafiosa pugliese. A intervistarlo è stato il programma di Italia1 Le Iene, con Giulio Golia, nella puntata andata in onda ieri sera. Ma il suo nome era già uscito nel 2017 su Cronache Maceratesi, in un articolo di Giuseppe Bommarito a lui dedicato (leggi).

servizio-iene-manomozza-1-325x184Annacondia, infatti, da anni dopo essersi pentito ed essere finito sotto protezione, vive a Civitanova sotto il nome che gli è stato dato come collaboratore di giustizia. Nella città costiera ha anche aperto diversi ristoranti.

«In Puglia – ha detto Golia – aveva costruito un vero e proprio impero, quando lo hanno arrestato gli hanno sequestrato beni per 7 miliardi di lire». «Non sapevamo dove mettere i soldi, soldi sporchi di sangue», ha ammesso Annacondia, a cui vengono contestati decine di omicidi. «E’ normale, morte tua vita mia – ha detto l’ex boss davanti alle telecamere – non mi piaceva lasciare le persone vive, i morti non parlano». Nell’intervista, girata nello studio del suo legale, l’avvocato Gabriele Cofanelli, Annacondia è partito da un episodio che lo ha segnato per sempre. E ha ripercorso, una sigaretta dietro l’altra, la sua storia criminale fino al pentimento.

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Salvatore Annacondia in un’intervista nella redazione di Cronache Maceratesi

«Ero un bravo ragazzo – ha raccontato – poi nel 1972 ho perso una mano con una bomba per la pesca di frodo». Da lì, sarebbe iniziata la sua ascesa il criminale e da lì sarebbe arrivato il soprannome che lo accompagna da una vita, Manomozza appunto, o “Stumpill”, in dialetto pugliese. Dopo aver perso una mano, infatti Annacondia, secondo quanto raccontato da Le Iene, avrebbe perso il lavoro in un cantiere e iniziato a muovere i primi passi nel contrabbando di sigarette. Poi un incontro a Milano.

«Frequentavamo una discoteca nella zona di Porta Vittoria – ha ricostruito l’uomo – una sera si avvicina un ragazzo, mi bussa sulla spalla e mi dice: “Tu qui non mettere più piede”.  Io ridendo, mi sono alzato ho preso la bottiglia di champagne e gliel’ho data in fronte. Mentre lo stavo per scannare, mi hanno bloccato: quel ragazzo era Carlo Argento».

Argento era un grosso nome della mala milanese, braccio destro di uno dei più importanti boss della Brianza, rivale di Vallanzasca, Francis Turatello. Quel gesto, a quanto pare, venne letto come un atto di coraggio «e così diventammo amici», spiega Annacondia. Grazie anche a quella amicizia, secondo quanto ricostruito da Golia, Annacondia divenne in breve tempo uno dei più grandi narcotrafficanti della Puglia.

servizio-iene-manomozza-7-325x183Quindi il racconto dei primi due omicidi commessi dall’uomo, legati a un regolamento di conti. Un suo uomo era stato ucciso e doveva essere vendicato. «Mi portarono una Smith&Wesson calibro 38 – ha raccontato Annancondia – e io giravo come un pazzo per trovarlo». Finche pochi giorni dopo lui e il suo commando non se lo ritrovano davanti mentre erano in auto. «Dissi “Miché metti gli abbaglianti” – ha proseguito –  ho tirato fuori la pistola e gli ho sparato il primo colpo, poi come un vero killer sono andato sopra e gli ho sparato due colpi in testa. Quello è stato il mio primo omicidio, ma non mi fece nessun effetto». Il secondo, sempre legato a quel regolamento di conti, ancora più efferato del primo. «Gli ho sparato in fronte – ha detto l’ex boss – il sangue usciva a fontana, quindi ho preso il bossolo della pistola e gliel’ho attappato. Poi l’abbiamo messo in un catino, era già tutto preparato: un gommone, l’esplosivo. L’ho portato a largo avvolto in una rete e gli ho fatto esplodere la testa. Non si doveva riconoscere, poi in mare nell’arco di 20 giorni, massimo un mese, non si trova più niente. Una gamba fu ritrovata molto dopo sul litorale di Bisceglie ma non si è mai saputo a chi apparteneva. Da lì il potere è stato ampio, dagli arresti domiciliari il controllo era già totale».  E infatti il racconto prosegue con un altro omicidio, commesso addirittura davanti il portone di casa sua, mentre era proprio ai domiciliari.

servizio-iene-manomozza-6-325x183«Ma non si pente di nessun omicidio?», gli ha chiesto Golia. «Di uno me ne pento amaramente – ha risposto Annacondia – si chiamava Giovanni». E pensavano fosse una spia che passava informazioni alle forze dell’ordine.  «Lo caricammo in macchina e lo portammo dietro al cimitero perché c’avevo parecchie fornaci dove distruggevamo i corpi, nemmeno la cenere rimaneva – ha detto – la tecnica che usavamo era micidiale: si faceva un letto di copertoni dei camion, dei trattori, delle macchine, si metteva il corpo sopra, si ricopriva di gomme e poi si dava fuoco a tutto. Un’ora di tempo e il cadavere nn c’era più. In una settimana nella, chiamiamola fornace 1, abbiamo distrutto 3 di San Giovanni Rotondo, due di Barletta, 1 di Bari, il fuoco stava sempre acceso. Giovanni quando siamo arrivati sul posto, siamo scesi dall’auto, gli ho sparato e l’ho ammazzato. Ammazzare una persone per me era come andarsi a bere un caffe, per dire quanti ne ho ammazzati. E chi se li ricorda, talmente tanti».

servizio-iene-manomozza-9-325x200Il potere dell’ex boss era cresciuto talmente tanto che diversi affiliati a un certo punto si erano proposti di dare la propria mano per un trapianto. «Io scelsi lamano che più mi assomigliava, perché c’avevano detto che a Brescia c’era sto professore che faceva trapianti, ma quello non vedeva l’ora che andassimo via. Si inventò di tutto, disse: “Noi non faremo mai un trapianto di un organo esterno da una persona all’altra perché c’è il rigetto della pelle”».

Golia gli ha chiesto se avesse mai ucciso a volto coperto. «Mai – ha risposto l’ex boss- anche se queste cose non le dovrei dire, il punto è che anche stai tra 10mila persone, quando la gente sente sparare la prima cosa che fa è chiudere gli occhi e scappare, non vede da dove partono i colpi. Noi non abbiamo mai sparato da lontano, sempre faccia a faccia, mai neanche alle spalle». Annacondia ha poi confessato che c’era un motivo ben preciso se riusciva spesso a scappare alla cattura. «Forza dell’ordine corrotte? Certo – ha detto – per ogni grado c’era la busta, però noi amavamo i piccoli, quelli che ti possono dare più informazioni. Io sono stato sempre coperto dal settore politico e imprenditoriale, una mano lava l’altra, loro facevano il lavoro sporco per me». Conoscenze che gli avrebbero permesso anche di passare una parte di reclusione in carcere «bella dorata».  «In carcere – ha spiegato l’ex boss – avevamo ricci di mare, calamaretti, datteri, aragoste, champagne, cocaina, pistole, avevamo tutto. Il carcere è la mamma di tutte le mafie, uno diventa potente in carcere, i ragazzi per far parte del tuo gruppo venderebbero la madre, il padre e i fratelli».

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Poi nel 1992 la decisione di pentirsi. «Viene mia moglie al colloquio e mi dice “Salvatore perché hai messo al mondo una famiglia? Per colpa tua sta morendo tuo figlio”. Aveva preso – ricorda Annacondia – un deperimento organico per mancanza di affetto paterno, così ho rifiutato la mia vita per vivere vicino a mio figlio, ho pensato alla mia famiglia, la strada vecchia l’ho abbandonato, ciò che si dice sul mio conto, a me rimbalza tutto».

«Ma secondo te – gli ha chiesto Golia – tu oggi fai ancora paura?».  «Non lo so e non lo voglio sapere – ha risposto l’ex boss – Io ho sempre 18 anni dentro e quello di cui sono capace è molto pericoloso. Però sono diventato l’uomo più tranquillo al mondo, non voglio avere a che fare più niente».  Ma non ti devono risvegliare? «No».

(redazione Cm)

 

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I pugliesi nel porto di Civitanova A cena con l’assassino da Manomozza

 

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