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Alla ricerca di Tony Tiong:
gli affari della holding di famiglia,
il documento di Green peace e le inchieste

IL REPORTAGE (di Marco Benedettelli) - A Kuala Lampur l'imprenditore malese - che ha portato l'Ancona calcio nel baratro - sembrano non conoscerlo, diverso invece per l'azienda dove dichiara di lavorare, la RH - Rimbunan Hijau, holding internazionale fondata dal nonno e finita al centro di critiche e sentenze anche per aziende ad essa riconducibili. L'Environmental investigation agency nel suo report dice «è stata più volte denunciata per aver alimentato la distruzione delle foreste in tutto il mondo attraverso la segretezza e l'attività criminale»

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Kuala Lumpur

di Marco Benedettelli 

Nessuno a Kuala Lumpur sembra conoscere Tony Tiong. La gente in strada scuote la testa attonita davanti alla sua fotografia. I baristi malesi interpellati non hanno mai sentito nominare la sua Carbon Brews, birra che l’ex presidente dell’Us Ancona aveva piazzato a sponsor del club biancorosso, fatto poi miseramente fallire.

Il gioco “cercasi Tiong disperatamente” sembra non portare a niente, anche tra i grattacieli della capitale il vecchio patron è un fantasma. Finché un anziano tassista inarca le sopracciglia di fronte al profilo LinkedIn dell’azzimato quarantenne.

Pure a lui il nome Tony Tiong non dice nulla, però gli è noto il gruppo dove l’imprenditore dichiara di lavorare, RH – Rimbunan Hijau, «RH si occupa anche di coltivazioni di olio di palma», ci spiega con proverbiale gentilezza asiatica.

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Tony Tiong con la sciarpa dell’Ancona

Da quell’istante, tutto diventa tridimensionale. In Malesia la coltivazione intensiva di semi per l’olio di palma si estende a perdita d’occhio, negli ultimi 20 anni i suoi filari hanno sostituito un quinto della foresta pluviale.

Ne è il secondo produttore al mondo. E così, usando palm oil come parola “chiave”, salta subito fuori quanto sia controverso il profilo della Rimbunan Hijau, la holding internazionale nota con la sigla RH e fondata dal nonno dell’ex presidente della Us Ancona, Tiong Hiew King, classe 1935. Un report dopo l’altro, si legge che il gruppo ha ricevuto delle condanne legali per aggiramento delle leggi, è stato bersaglio di critiche per violazione dei diritti umani e dei diritti delle tribù locali e per abusi ambientali.

All’holding di Tiong Hiew King, che il nostro tassista ha subito riconosciuto, è legata l’impresa dove il nipote Tony Tiong presiede come ceo, la RH Mining Resources, “nave ammiraglia” del gruppo RH per il settore minerali e metalli. La sua sede è a Hong Kong ma RH Mining è collegata a un’altra società registrata nel paradiso fiscale delle Isole Cayman, inespugnabile per chi vuole accedere a dati finanziari e proprietari.

US_Ancona-DSC_7521-Ghirelli-Tiong-Canil-Ripa--325x216Intanto però la reputazione non certo incontestabile del gruppo RH e i suoi numerosi contrasti emergono chiari da documenti su documenti, facilmente reperibili sul web e firmati da associazioni e pool di ricercatori.

Il più recente è del novembre 2023, a cura della statunitense Eia, Environmental investigation agency, s’intitola The Dictator’s Door e riguarda il commercio di legname di RH in Africa (leggi qui). Vi si legge che la corporation «è stata più volte denunciata per aver alimentato la distruzione delle foreste in tutto il mondo attraverso la segretezza e l’attività criminale». Nel report si riportano testimonianze su come la Rimbunan Hijau, attraverso la sua sussidiaria locale Shimmer International, abbia protratto numerose strategie di corruzione («multiple corruption schemes») nella Guinea Equatoriale, per favorire i propri commerci di legname pregiato, aggirando divieti.

Ma il documento dell’Eia è affiancato anche da atti giuridici. Nel 2019 la Corte Suprema della Papua Nuova Guinea ha condannato con sentenza definitiva il gruppo RH a dei risarcimenti, definendo i suoi rapporti coi proprietari terrieri locali fondati su «una farsa, una frode e un comportamento inconcepibile».

Così che, secondo i giudici, il gruppo della famiglia Tiong si è reso «responsabile di disboscamento illegale, di sfruttamento consuetudinario, di manipolazione della legge». A riportarlo nel 2020, quando mancavano un paio di anni dall’approdo del magnate malese ad Ancona, è il sito d’investigazione giornalistica Pngi nell’inchiesta Rimbunan Hijau behaviour “a sham, fraud and unconscionable” (leggi qui).

malesiaDall’Africa, dall’Oceania, dall’Asia, l’elenco delle inchieste e critiche che proiettano una luce tutt’altro che rassicurante su RH sarebbe lungo. Già dal 2004 Greenpeace pubblicava il documento “Gli intoccabili: il mondo del crimine forestale e delle sponsorizzazioni politiche di Rimbunan HiJau” (leggi qui) con dirette accuse alla corporate della famiglia Tiong e denunciava quanto RH dominasse l’industria del disboscamento in Papua Nuova Guinea e avesse un ruolo chiave nel settore in Malesia e Guinea Equatoriale e interessi in Gabon, Indonesia,Vanuatu, Nuova Zelanda e Russia. «In questi paesi, le operazioni di Rimbunan Hijau sono spesso caratterizzate da un disprezzo per la legge con illegalità, documentate in molti aspetti delle loro operazioni», si legge nel documento di Greenpeace.

malesia1-325x217È nel Borneo malese, regione di Sarawak, che la famiglia Tiong ha iniziato negli anni ’70 i suoi affari, incentrati all’inizio sulla deforestazione e oggi articolati in media, turismo, biotecnologie e come si è visto, altri settori. Tony Tiong, tra i suoi incarichi, conta anche quello di membro del consiglio d’amministrazione della Rimbunan Sawit Berhad, azienda sussidiaria sempre di RH per la coltivazione dell’olio di palma, che detiene nel Sarawak 71.055 ettari di filari, in una zona dove il restante 70 per cento del terreno è per il legname pregiato. La sottrazione di foresta pluviale per scopi commerciali oltre che un danno per l’equilibrio climatico del pianeta, ha significato la fine dell’habitat per tante specie animali del Borneo e la decimazione per esempio di oranghi e scimmie nasiche, che oggi riparano in piccoli lembi di foresta ancora preservata, o in riserve gestite dai privati e a uso dei turisti, circondate spesso da piantagioni di palme.

Nel 2009 il quotidiano The Guardian pubblicava un articolo con le tante proteste delle associazioni ambientaliste per la candidatura di King Hiew Tiong a Cavaliere del Regno Unito (leggi qui). In quell’occasione Survival International dichiarava che RH «è responsabile della distruzione di vaste aree di foresta che appartengono alla tribù dei Penan nel Sarawak, nel Borneo e molte ora hanno difficoltà a trovare cibo a sufficienza perché gli animali da loro cacciati sono fuggiti dai bulldozer di Tiong».

Un popolo che si vede strappare la propria terra natale è vittima di un sopruso tragico. La metafora è iperbolica, e la usiamo col massimo rispetto per quelle persone, ma potremmo dire che in tutto questo c’è un’assonanza con il disastroso destino della Us Ancona (oggi per fortuna rinata nella Ssc Ancona). Anche i sostenitori biancorossi sono stati predati di un bene dalle radici profonde, la propria squadra di calcio. Un tesoro sportivo e simbolico, certo, ma non per questo calpestabile. E sempre per mano di un tipo di finanza che guarda solo alle proprie ingorde speculazioni.

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