di Ugo Bellesi
Le Marche sono diventate terra di conquista per le multinazionali estere? Sembrerebbe proprio di sì dal momento che negli ultimi 20 anni sono state 53 le imprese marchigiane (come la Indesit e iGuzzini) assorbite da capitali stranieri mentre in 15 casi sono state acquistate le quote di maggioranza. E’ il caso della Rainbow, che ha ceduto il 30% agli americani. Ma è accaduto che pure che grandi firme si sono insediate nel nostro territorio: Louis Vuitton a Civitanova, Fendi a Fermo, Hugo Boss a Morrovalle. E questo succede quando le imprese marchigiane hanno un knowhow importante ma sono prive delle potenzialità necessarie per diventare una grande impresa. Ma ci sono state anche 28 imprese marchigiane che hanno fatto acquisti all’estero. Così la Ariston Thermo ha preso il controllo di aziende del settore elettrodomestici in Messico, Israele, Usa, Danimarca, Sud Africa, Canada e Paesi Bassi.
Non dobbiamo però dimenticare che ci sono settori in crisi come quello delle calzature. Infocamere-Movimprese ha segnalato che calzaturifici e produttori di accessori hanno registrato, rispetto a dicembre 2023, la sparizione di 104 aziende con una perdita di 1.208 posti di lavoro. Nel settore della pelle le ore di cassa integrazione, nel primo semestre 2024, sono aumentate del 212,1% rispetto al 2023, essendo state autorizzate 2,5 milioni di ore. Tutto ciò è provocato dalla flessione delle esportazioni che per le Marche è risultata pari all’8,9% con -5% per Macerata, -7,7% per Fermo e -21,7% per Ascoli. Per tutta Italia nel primo semestre si è registrata il fatturato ha registrato una flessione di -9,1% mentre l’esportazione è diminuita dell’8,5%. Ma quello che preoccupa di più è che nel mese di giugno scorso si è registrata la chiusura di 107 calzaturifici rispetto a dicembre 2023 con la perdita di 2.359 posti di lavoro.
Ma non è soltanto il mondo calzaturiero che attraversa un periodo di crisi perché anche altri settori non godono buona salute. Ne è la prova l’ultimo aggiornamento trimestrale di Movimprese. Nel primo trimestre di quest’anno nelle Marche si è registrata la cessazione di 3.428 imprese con una decrescita dello 0,49% (la più alta d’Italia). Si è accertato che tra dicembre 2019 ed oggi le Marche hanno perso 20mila attività economiche. E’ del mese scorso l’allarme lanciato da Confartigianato Marche per la crisi dell’autotrasporto determinata soprattutto dalla carenza di autisti di mezzi pesanti. Le imprese di autotrasporto che 10 anni fa erano 3.616 oggi se ne contano soltanto2.569 perchè ne sono scomparse 1.047. Tra l’altro si stima che tra 10 anni almeno la metà di coloro che oggi guidano i tir andrà in pensione. I giovani non sono più attratti da questa professione perché preferiscono altre attività. Per questo secondo Confartigianato sarebbero opportuni degli incentivi. Peraltro è da sottolineare che l’autotrasporto con mezzi pesanti è strategico per l’economia.
D’altra parte bisogna rendersi conto che non solo la nostra regione non attraversa un periodo florido ma sono tutte le regioni del Centro Italia ad essere in difficoltà. La decrescita economica ma anche la denatalità provocano l’arretramento di questa vasta area che soffre del processo di deindustrializzazione che, nelle aree interne, è stato più marcato. Infatti, dopo la pandemia, il Centro Italia non è riuscito a recuperare i livelli che aveva prima. Si consta che il Sud con i fondi dell’Unione europea e il Nord con il Pnrr “sono tornati a correre” mentre le regioni del Centro, dopo la pandemia, presentavano questi Pil: Toscana -0,2; Umbria -1,6; Lazio -0,6; Marche 1,3; Abruzzo -1,1. La deindustrializzazione del Centro è aggravata dalla crisi della Germania ma è influenzata anche dalla denatalità. La situazione in cui si trova il nostro sistema produttivo influisce, come è evidente, assai negativamente sulle condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici marchigiane per il crollo del loro potere d’acquisto. Il tutto si addebita alla crisi energetica, alle guerre, al costo delle materie prime ma bisogna anche tener conto che le nostre imprese spesso sono di piccole dimensioni, se non addirittura a conduzione familiare, per cui si assommano i problemi generazionali con limitate capacità innovative.
Di questa situazione è assai preoccupato il mondo degli industriali i quali puntano al rilancio del Centro Italia mediante un più stretto (ma soprattutto rapido) collegamento tra Adriatico e Tirreno. C’è chi guarda con maggiore interesse ad un asse tra il Lazio e l’Abruzzo quando invece il collegamento più facile e più razionale è quello tra il Lazio e le Marche. Infatti è nell’ordine delle cose la necessità di creare una sinergia tra i due porti di Civitavecchia e Ancona per dare slancio al pil, al commercio e alle filiere industriali. Tra l’altro c’è la previsione di inserire il porto di Ancona nel corridoio Scandinavia-Mediterraneo con il raddoppio della linea ferroviaria, ma anche dell’autostrada A14, dal mar Baltico al mare Adriatico fino a Bari. Il che consentirebbe di collegare direttamene le regioni centrali con il resto d’Europa. Comunque, da quel che trapela, il mondo imprenditoriale di Roma snobba l’asse Civitavecchia-Ancona, per preferire il “corridoio europeo” Barcellona, Civitavecchia, Pescara, Ortona, Ploce. Infatti puntano sull’Abruzzo perché “le imprese abruzzesi – sostengono – hanno potenziali di crescita enormi: eccellenze mondiali nei settori automotive, chimico farmaceutico, elettronico, design, moda e agroalimentare”. Se son rose fioriranno ma intanto è evidente che a Roma si sta lavorando per rilanciare l’economia del Centro Italia ma tagliando fuori le Marche.
E passiamo alle note dolenti degli infortuni sul lavoro. Le ultime rilevazioni Inail ci dicono che le denunce di infortuni sono passati da 1.174 del febbraio 2023 a 1.214 del febbraio 2024. Il settore industriale ha avuto un incremento degli infortuni dai 1.794 del primo bimestre 2023 ai 1.844 del 2024 Sono diminuiti gli infortuni mortali, da 5 del primo bimestre 2023 a 2 dello stesso periodo del 2024. Le denunce di malattie professionali passano dalle 1.142 del primo bimestre 2023 alle 1.251 del primo bimestre 2024.
Non meno preoccupante la “fuga” dei giovani laureati verso l’estero. In 15 anni l’Italia ha perso 525.000 laureati con stipendi e carriere migliori di quelle che possono trovare nel nostro paese. Sono cifre che ci debbono preoccupare perchè ci dicono che non solo abbiamo perso tanti laureati ma, e questo è ancora più grave, anche un pezzo della nuova classe dirigente.
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