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Omicidio di Hamid, il padre:
«Una forza sovrannaturale
mi ha spinto a strangolarlo»

CUPRAMONTANA - Sono le parole che Besart Imeri, accusato della morte del figlio, ha pronunciato davanti al gip questa mattina, nell'ambito dell'interrogatorio di garanzia svoltosi a Montacuto. Il macedone ha ripercorso la dinamica dell'uccisione, ma non ha fatto chiarezza sul movente. Il giudice ha convalidato il fermo e confermato la misura del carcere. Annunciata dal difensore una perizia psichiatrica

Il piccolo Hamid con il papà Besart

 

di Federica Serfilippi

«È entrata una forza sovrannaturale in me che mi ha spinto a strangolare mio figlio. E io così ho fatto, ma ancora non so spiegare perchè». Sono state queste le parole pronunciate questa mattina dal 26enne Besart Imeri di fronte al gip Carlo Cimini nell’interrogatorio di garanzia avvenuto nel carcere di Montacuto, struttura dove il macedone si trova dall’alba di venerdì, dopo aver passato la notte nella caserma dei carabinieri di Cupramontana. Per due ore, Imeri ha risposto alle domande del giudice che, alla fine, ha deciso di convalidare il fermo e confermare la misura cautelare del carcere. Di fronte ai quesiti, Imeri – assistito dall’avvocato Raffaele Sebastianelli – non si è tirato indietro, cercando di dare una ricostruzione della dinamica che lo ha portato ad uccidere il primogenito Hamid, 5 anni. A spingerlo verso l’omicidio sarebbe stata una forza esterna che all’improvviso si sarebbe impossessato di lui. Il 26enne ha raccontato di essere uscito da casa con il piccolo per «andare a comprare le sigarette». Ma al tabaccaio, i due – che passeggiavano spesso insieme – non ci sarebbero mai arrivati, perché una volta entrati nella Toyota Yaris verde parcheggiata davanti all’appartamento della famiglia Imeri, in via Bonanni, il 26enne avrebbe perso la testa. «Qualcosa è entrato dentro di me, un qualcosa che non si era mai manifestato prima. Come ho sentito quella forza, ho ucciso mio figlio, strangolandolo. Poi, quell’entità se ne è andata e io sono tornato in me. Non so perchè l’ho fatto. Io volevo bene ad Hamid». Questione di pochissimi istanti. Appena compreso quanto accaduto, il 26enne ha subito chiesto aiuto, trovando per primo uno dei suoi due fratelli, rimasto in casa. «Ma cosa ho fatto?» ha detto tra sé e sé quando ha capito che per il piccolo non c’era più nulla da fare. «Quando l’ho strangolato, era come se non fossi io. Non mi dimenticherò mai che quello era mio figlio e non mi dimenticherò mai che l’ho ucciso io». Davanti al giudice, il macedone ha anche raccontato della sua disoccupazione, del suo rapporto sempre sereno con la famiglia e di quella depressione che negli ultimi mesi non lo faceva più dormire, tanto da spingerlo a muoversi in due direzioni. Da una parte, aveva iniziato ad affidarsi agli psichiatri dell’ospedale di Jesi, dall’altra si era sempre più avvicinato alla fede islamica, un credo che condivide con tutta la sua famiglia. L’omicidio, però, non avrebbe nulla a che fare con la religione. Il movente non sarebbe neanche da cercare nell’ambito familiare (i rapporti con la moglie, il padre e il fratello erano buoni) o in un capriccio improvviso di Hamid. Il bimbo non ha neanche fatto in tempo a strillare o ribellarsi. Dopo la fine dell’interrogatorio, il gip ha convalidato il fermo e disposto il regime carcerario, come voluto dal pm Valentina Bavai. Il legale aveva chiesto al reclusione in una struttura di cura. «A questo punto – ha detto Sebastianelli – mi sembra il caso di procedere con una perizia psichiatrica per valutare le condizioni del mio assistito».

Morte di Hamid, il padre confessa: «Ho ucciso mio figlio»

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