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L’arte di Ancona
trafugata e dispersa nel mondo

DIPINTI - L'ex direttore della Pinacoteca, Michele Polverari traccia la mappa delle opere perdute della città. Confiscate dai funzionari napoleonici o vendute dalle famiglie nobiliari, ora sono esposte in tutto il mondo. Lo studioso invita a non rassegnarsi: "Riportiamole a casa anche temporaneamente con collaborazioni con i musei internazionali e le soprintendenze"

Nicola di Maestro Antonio (Ancona, seconda metà sec. XV-inizi sec. XVI) , Tavola centrale di un polittico già ad Ancona in San Francesco delle Scale, firmato e datato 1472; Pittsburg, Carnegie Museum

 

di Agnese Carnevali

Requisite, vendute, spostate da una città all’altra, e mai più tornate, al seguito dei signori che le possedevano. È il destino di molte opere d’arte che arricchivano i palazzi e le chiese di Ancona e che oggi, nei più fortunati dei casi, sono esposte in musei internazionali senza che abbiamo più alcun legame con la città che vide la loro creazione, o riposte in bui magazzini o sagrestie del nord Italia, sradicate dalla loro storia e dal contesto. A ricostruire una mappa dettagliata di quali sono i dipinti perduti di Ancona e della loro collocazione in Italia e nel mondo, il critico d’arte e scrittore, Michele Polverari, già direttore della Pinacoteca civica Francesco Podesti.

 

 

L’ex direttore della Pinacoteca civica di Ancona, Michele Polverari davanti al Giovane cavaliere di Carpaccio (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)

E l’esperto avanza anche alcuni suggerimenti per riportare a casa, in maniera temporanea, questi preziosi testimoni della storia e dell’identità della città. A seguirlo in questo lungo e articolato viaggio delle spoliazioni artistiche, forzate o casuali, subite da Ancona nel corso dei secoli, i tanti cittadini che hanno affollato lo showroom di Vittoria Ribighini nell’ultimo degli incontri su storia ed arte della città organizzati dall’architetto. «Contrariamente a quanto si pensi non sono state le requisizioni napoleoniche ad impoverire il patrimonio artistico di Ancona – premette Polverari – ma gli spostamenti dei signori che, quando partivano portavano con sé i loro quadri. Le cappelle delle città, prima erano 30 all’interno delle mura antiche – spiega – non erano decorate solo con degli affreschi, ma anche con dei quadri che spesso i proprietari si riprendevano per appenderli nelle loro cappelle private. Penso ad esempio Alla visione del beato Gabriele Ferretti di Carlo Crivelli (1490)». Il famoso dipinto è oggi esposto alla National Gallery di Londra, ricostruisce lo studioso, ma un tempo si trovava nella chiesa di San Francesco ad Alto. La famiglia Ferretti se lo riprese nel ‘700 per portarlo nel loro palazzo Mengoni Ferretti, dove oggi si trova la biblioteca comunale Benincasa. Quali le vicissitudini che lo hanno portato a Londra? «Di certo – spiega l’esperto – fu venduto dalla famiglia, forse per far fronte a qualche debito». San Francesco alle Scale ospitava tre polittici dell’anconetano Nicola di Maestro Antonio (secondo Quattrocento), le cui tavole sono oggi esposte a Pittsburg, Torino, York, Roma, Brooklyn, Oxford, Londra, Minneapolis. Tra le opere perdute La fuga in Egitto (1541 ca) di Jacopo Bassano stava nella chiesa dell’Annunziata, ora è nel museo di Toledo in Ohio.
Alle vendite si sono aggiunti poi le partenze dalla città dei nobili e dei mercanti che vi abitavano un tempo. E come in ogni trasloco che si rispetti gli oggetti più amati vengono portati con sé. «Penso al ritratto della famiglia Borbon del Monte – riprende Polverari -, opera che non si sa che fine abbia fatto». Ma oltre ai dipinti di cui si è persa traccia, ce ne sono molti altri di cui è nota la collocazione. «Proprio per questo suggerisco di prendere contatti con i musei che espongono le opere provenienti da Ancona e chiedere che possano essere prestate alla città per delle mostre temporanee, in cambio di dipinti che Ancona a sua volta potrebbe mandare in trasferta in altri musei e gallerie pubbliche. Sarebbe un modo per ammirare questi gioielli e inserirli all’interno del contesto in cui furono commissionati e realizzati nonché per mostrare al mondo altri pezzi di pregio del nostro patrimonio pittorico».
Tra le opere che Polverari vorrebbe poter di nuovo ammirare in città, anche se per un breve periodo, anche due Ritratti di Baldassarre Vandergoes e della moglie Margherita (1655 ca) mercante fiammingo lui, che importava stoccafisso in città, anconetana lei, che abitavano in un’enorme villa al Passetto. Questi quadri, illustra Polverari, passarono nelle collezioni private e nel 1902 furono comprate da Henry Walters, miliardario statunitense proprietario di una ferrovia. I due dipinti sono oggi conservati al Walters Art Museum d Baltimora. «Pensi che fino a due anni fa – precisa lo studioso – non sapevano neanche chi fossero i due personaggi raffigurati. Tanto che erano catalogati come ritratto di gentiluomo e sua moglie. Io avevo fatto le mie ricerche, sono stato contatto e ho fornito i nomi. Credo che se al museo di Baltimora si proponesse uno scambio di opere ne sarebbe ben lieto».
E l’ex direttore della Pinacoteca traccia una via anche per le opere che furono requisite in epoca napoleonica. «Si potrebbe contattare la soprintendenza di Milano per farsi restituire alcune opere in forma di deposito ad Ancona. Ci sono tantissimi dipinti requisiti e portati a Brera e poi distribuiti nelle chiese lombarde. Penso – dettaglia Polverari – al San Sebastiano (1495) di Liberale da Verona che prima si trovava a San Domenico e fu poi requisitoe dai funzionari del Regno d’Italia napoleonico e che dal 1811 sta a Milano.

Girolamo Siciolante (Sermoneta, 1521 – Roma, 1575) Pala di San Bartolomeo. Calcinate (BG), Chiesa di Santa Maria Assunta

 

Ma anche alla tela di di 5 metri di Girolamo Siciolane da Sermoneta dedicata a San Bartolomeo che stava nell’omonima chiesa armena accanto all’anfiteatro e ora è nella sagrestia di una chiesa di Calcinate. La tela è legata alla storia di questa città che nel ‘500 ospitava una considerevole comunità armena e che invece non c’entra nulla con la chiesa di Calcinate. Ecco perché – ribadisce il critico d’arte – ritengo che si possa chiedere allo Stato di riaverla se non in proprietà in deposito».

Una strada già percorsa, ad esempio, da Matelica che, allestendo la mostra dedicata a Lorenzo di Giovanni De Carris da Matelica, ha avuto in deposito da Brera un’opera che stava da secoli nella città lombarda.

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